Così lontani e così familiari. L’Afghanistan e l’Asia nella biblioteca Poggiana dell’Ottocento

“Viaggi di un falso dervish nell’Asia centrale, da Teheran a Khiva, da Bokhara a Samarcanda per il grande deserto turcomanno”: sembra un titolo dal romanzo d’avventure, eppure il racconto che apre esce fuori dalle pagine un po’ ingiallite di un volume pubblicato a Milano nel 1873 e conservato insieme a molti altri degli stessi anni nelle collezioni storiche della Biblioteca Poggiana.

Quelle che la vecchia legatura anonima e logora dischiude sono pagine inaspettatamente vicine alle immagini che interrogano e inquietano il nostro tempo, specialmente in questo periodo di notizie terribili dall’Afghanistan, che fanno di quei luoghi un tema così attuale e insieme così difficile da comprendere. Già i lettori dell’Ottocento si appassionavano di conoscere quei luoghi lontani. Le pubblicazioni di quel periodo tornavano spesso sul tema della conoscenza del mondo: resoconti di viaggi, reportages d’epoca da luoghi vicini e a volte lontanissimi, che animavano l’immaginario dell’epoca e alimentavano la scrittura.

Uno tra questi viaggi, uscito in italiano nel 1873, portava in un luogo allora praticamente sconosciuto: l’Asia centrale e in particolare l’Afghanistan.

Un viaggiatore particolare

Armin Vambery era un giovane studioso ungherese di lingue orientali, appassionato di Asia. Nel 1862 decise di tentare il viaggio verso le grandi città di Samarcanda e di Bukhara, in quello che oggi è l’Uzbekistan. Erano territori quasi ignoti, anche perché le vie dei pellegrini in quei luoghi spesso illustrati dai grandi nomi della storia islamica erano inaccessibili agli occidentali.

Armin trovò un modo ingegnoso per rompere quell’isolamento: dopo aver acquisito alla perfezione la lingua dei luoghi, si travestì da derviscio, prendendo cioè le vesti di quella sorta di eremiti-girovaghi che erano un tempo usuali nel mondo islamico: uomini che si muovevano in perenne pellegrinaggio, senza nulla con sé se non le elemosine che i buoni fedeli davano loro come segno di rispetto.

Questo falso derviscio, come suonava il titolo delle sue memorie, poté attraversare luoghi inaccessibili e visitare le località ritenute sacre per i fedeli musulmani: fece base in Iran per poi attraversare i luoghi più remoti fino alle mitiche città asiatiche; tornò poi verso sud e raggiunse l’Afghanistan, in particolare la città di Herat, che raccontò come “una collana di diamanti” per le sue antiche ricchezze, e oggi nota per vicende molto più tragiche. Fu un viaggio avventuroso, sempre esposto al rischio di essere smascherato e certamente messo a morte, ma Vambery riuscì sempre a scampare i pericoli e a fare ritorno in patria due anni dopo la partenza, carico di esperienze che in gran segreto aveva raccolto nei suoi appunti di viaggio.

Quelle pagine raccontano dall’interno gli usi di una società dura e violenta, lontana dall’Occidente e insieme piena di storie e di personaggi memorabili. Le immagini che corredavano la stampa erano allo stesso tempo un veicolo potente per solleticare abilmente l’immaginario del lettore. In fondo, poi, solo apparentemente quella parte di Asia era (ed è) remota, perché da lì passavano le vie carovaniere, si incontravano le comunità etniche e religiose più diverse e si toccavano gli interessi delle potenze internazionali. In effetti anche quella di Vambery non era solo una passione di conoscenza disinteressata: il suo racconto, pubblicato al suo ritorno nel 1864, venne conosciuto in Inghilterra e anche in Russia, mentre l’autore fece un’immediata carriera all’università di Budapest. Le pagine del ‘falso derviscio’ erano una testimonianza preziosa su un’area geografica strategica per le grandi potenze del tempo. Erano gli anni del “grande gioco”, in cui la Russia zarista, dalle steppe dei suoi territori più interni, e l’Inghilterra dai suoi domini indiani, guardavano all’Asia centrale come terra di conquista. Lo sguardo di Vambery era per questo un segno del suo tempo: anzi, era tanto più attuale perché portava con sé un grande carico di giudizio su tutto il mondo che visitava, anticipando lo sguardo interessato che tutto l’Occidente avrebbe avuto da allora per il modo orientale, tutto sommato fino ad oggi.

Il racconto, la scienza, la politica

Le cancellerie erano affamate di notizie, così come i lettori lo erano di racconti esotici. La traduzione italiana comparve nel 1873 tra i volumi della Biblioteca di Viaggi dell’editore Treves di Milano, una serie di grande diffusione che figurava nelle biblioteche di media cultura dell’Italia del tempo.

Ne ebbe una copia anche l’Accademia del Poggio, che nella sua biblioteca conserva la serie completa, insieme a molti altri libri del periodo dedicati ai luoghi lontani: uno tra i più famosi, il celebre viaggio a Costantinopoli-Istanbul di Edmondo de Amicis, l’autore del Libro Cuore. Non per nulla nello stesso volume in cui nell’Accademia si conserva il libro di Vambery è rilegato un reportage di De Amicis da Londra, insieme alle memorie del famoso esploratore dell’Africa equatoriale, Stanley.  Circolava in questo modo nei luoghi di cultura italiani, anche quelli periferici come la biblioteca dell’Accademia, la passione dei viaggi che avrebbe animato quell’epoca sia negli studi che ella produzione letteraria dei romanzi d’avventura: Emilio Salgari se ne sarebbe servito a piene mani. Accanto al fascino letterario stava l’interesse scientifico, sempre più vivo in tempi di colonie e di sogni di potenza.

Erano proprio gli anni di Odoardo e Giovanbattista Beccari, entrambi soci dell’Accademia, in particolare Giovanbattista che si era stabilito a Castelfranco di Sopra, dove fu anche sindaco. Proprio di Beccari sono rimasti studi approfonditi sull’economia del mondo islamico, in particolare una Guida del Mar Rosso, del canale di Suez e dei luoghi dei pellegrinaggi islamici pubblicata a Montevarchi nel 1880.

La fantasia, l’avventura e lo studio si univano nell’allargare nelle prospettive alla dimensione globale, toccando luoghi e storie che ancora oggi sentiamo come attuali.

Lorenzo Tanzini

Lorenzo Tanzini

Presidente dell'Accademia Valdarnese del Poggio

Condividi:

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp

Post correlati

Il Valdarno e i suoi ponti

La lunga storia del paesaggio fluviale Chiunque attraversi il territorio del Valdarno Superiore, sia in auto che col treno, si trova a viaggiare sopra o

Musei spazi di dialogo e incontro

17-20 ottobre 2023, Pavia, XXXII Congresso dell’Associazione Nazionale Musei Scientifici, dedicato a ‘Diversità come identità. Culture, pubblici e patrimoni nei musei scientifici’. Un tema ambizioso,

Museo Paleontologico Montevarchi

Via Poggio Bracciolini, 36/40
52025 Montevarchi (AR)
Tel: +39 055/981227 – 055/981812
paleo@accademiadelpoggio.it

Vai al sito:

In collaborazione con:

Comune di Montevarchi

Sponsor: