Museo come ponte

Nel dibattito museologico nazionale e internazionale gli obiettivi dell’Agenda 2030 sono sempre più presenti.
Nei musei scientifici il tema della sostenibilità è conosciuto e affrontato da tempo, legato da subito, e per molti anni, alla sua declinazione climatica, ecologica e ambientale. Abituati già a certe terminologie e a lavorare per bisogni ambientali globali, i musei scientifici si sono dunque trovati facilitati nell’estendere il tema della sostenibilità ad aspetti più ampi, come ci indica l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile elaborata dalle Nazioni Unite dal 2016.
Da allora, anche gli istituti di cultura hanno iniziato a interrogarsi e riflettere a più ampio raggio sul loro ruolo, nel contesto di questa sfida globale dove crescita economica, inclusione sociale e tutela dell’ambiente sono i macroobiettivi da perseguire nell’attuale decennio.

E allora, cosa e come possono lavorare i musei per questo?

A prescindere dalle collezioni e dagli aspetti disciplinari dei singoli, ogni museo può davvero offrire un contributo notevole a favore di una comunità più coesa e inclusiva.
Può ad esempio, un museo, diventare un luogo dove si pratica dialogo interculturale? Certamente! Nei Musei di Reggio Emilia il progetto “Di cosa hai paura?” ci insegna proprio questo. Dopo un periodo di formazione che ha interessato operatori del mondo della cultura e artisti, all’interno di un progetto europeo chiamato ‘DRIS – Co-creating Intercultural Societies: a Focus on Racism and Discrimination’, i Musei Civici Reggio Emilia, insieme ad altri partner tra cui anche il nostro Museo Paleontologico, hanno lavorato sul tema della paura, elemento comune e quindi ponte ideale con le comunità di migranti presenti in quel territorio. Un percorso di confronto, dialogo e apertura che, oltre a essere restituito attraverso la realizzazione dell’installazione ‘Eclissi. Tre movimenti al nero’ a cura dell’artista Alice Padovani, ha messo istituzioni e persone di culture diverse in relazione costruttiva. Museo come ponte, dunque, per l’abbattimento degli stereotipi e una società non discriminante, attraverso il dialogo tra comunità e il dialogo delle discipline.

Ma molti possono essere gli esempi di come i musei stanno lavorando per questo.

Ad Aosta si è tenuto recentemente il XXXI Congresso dell’Associazione Nazionale Musei Scientifici, a cui anche il Museo Paleontologico ha partecipato. Il tema è stato il rapporto tra musei scientifici, ambiente, territorio e di quali visioni, servizi e relazioni si possono instaurare per lavorare a favore di comunità sostenibili. Molte sperimentazioni, grandi stimoli, musei di varia tipologia e dimensione, e tra questi anche il nostro.

Riflettere sul patrimonio significa riflettere non solo su collezioni o paesaggi, ma anche sugli impatti potenziali che quello stesso patrimonio ha nella coscienza personale e collettiva. Che si tratti di patrimonio artistico, naturale, antropologico, storico, musealizzato o diffuso, materiale o immateriale, l’insieme di valori e significati che possiamo attribuirgli è analogo.
Il patrimonio permette di conoscersi: di conoscere sé stessi, di conoscere altre persone, di conoscere il mondo. L’esperienza che ne possiamo fare può stimolare l’interesse personale, il senso civico, aumentare la consapevolezza di sé; può creare occasioni di socializzazione e confronto, e di conseguenza favorire la coesione delle comunità; può infine sviluppare il senso di appartenenza a una comunità globale in cui tutti siamo interconnessi.
Ad esempio: il Museo dell’Accademia si configura come una comunità di cittadini intorno a un patrimonio, tematico, culturale, storico e territoriale, che si conoscono e si riconoscono. La sua natura giuridica di associazione di promozione sociale comprende una base di associati che favorisce occasioni di conoscenza e innesca processi partecipativi. Nascono idee, senso civico e progettualità che permettono di crescere come comunità.
Altri esempi: il percorso di coprogettazione che sta partendo con il Centro di Ascolto per cittadini stranieri e le comunità africane che abitano Montevarchi, che attraverso l’incontro reciproco tende a sviluppare narrazioni. Insomma, incontri dove i racconti diventano lo strumento di dialogo interculturale e di arricchimento reciproco. Si conosce sé stessi, si conoscono altre persone, si conosce il mondo, ci si conosce in questo mondo!

Il patrimonio permette però anche di riconoscersi: come comunità globale, come comunità territoriale, come comunità di interesse; permette di riconoscersi in un ruolo sociale, di ri-conoscersi attraverso scoperte di sé.
Ad esempio: con la campagna ‘SOS Mammuthus’ degli anni 2017-2019 il Museo ha permesso alla comunità territoriale di riconoscersi in un patrimonio comune e di maturare quel senso di responsabilità, prima personale e poi collettivo, che ha portato al sostegno di tutte le fasi di scavo, restauro e musealizzazione dell’ultimo ritrovamento fossile in Valdarno. Chiunque ha contribuito, in quegli anni, al sostegno del progetto potrà dire di riconoscersi nel ruolo di sostenitore.
Altri esempi: nell’estate 2022 il Museo ha avviato un progetto di recupero della memoria orale con gli anziani della RSA di Castelfranco di Sopra – Pian di Scò. Grazie allo stimolo della narrazione autobiografica gli ospiti hanno potuto raccontare di sé, condividendo ricordi del proprio vissuto e quindi del relativo contesto sociale e storico. Nello stesso tempo si sono riconosciuti in un ruolo sociale che spesso rischia di essere perduto, quello di custodi della memoria.

Potremmo raccontare ancora tanti esempi di come il patrimonio culturale, messo in contatto vero e profondo con la comunità, possa veramente stimolare fattori di cambiamento, sia interni che esterni. Fermiamoci, per adesso, a queste poche citazioni, sufficienti forse a comprendere come la missione delle istituzioni culturali e dei musei sia sempre di più in direzione di una comunità inclusiva, in cui ognuno ha diritto e dovere verso il patrimonio in cui vive.

Elena Facchino

Elena Facchino

Direttrice del Museo Paleontologico

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