Il Valdarno e i suoi ponti

La lunga storia del paesaggio fluviale

Chiunque attraversi il territorio del Valdarno Superiore, sia in auto che col treno, si trova a viaggiare sopra o accanto ai tanti ponti sull’Arno. È inevitabile che le strutture di comunicazione e lo stesso paesaggio della vallata siano marcate proprio dai tanti attraversamenti del fiume, antichi e moderni. È di pochi anni fa la realizzazione del modernissimo ponte ‘Leonardo’, che consente alla statale di fondovalle di raccordarsi all’Autostrada del Sole, e che anche nella denominazione richiama simbolicamente le ipotesi di identificazione del famoso ponte dello sfondo della ‘Gioconda’ leonardesca con uno degli attraversamenti antichi, forse Ponte a Buriano o uno dei ponti presso Laterina.
Guardando però ai secoli più lontani, il paesaggio valdarnese di età romana non doveva conoscere molte strutture monumentali sul fiume, perché le vie principali correvano piuttosto lungo le due sponte, nelle colline che digradano dai versanti del Pratomagno o del Chianti. Sul fondovalle si trovavano aree di attraversamento più dimesse, zone in cui avveniva il guado su vaste superfici in cui il fiume si frammentava e allargava, come quella del Pian dell’Isola presso Rignano.

Le prime testimonianze effettive sui ponti del Valdarno risalgono perlopiù ai secoli medievali, quando tra l’altro le strutture di attraversamento del fiume paiono spesso collegate a enti religiosi. Apparteneva all’abbazia di Vallombrosa il ponte all’altezza di S. Ellero, poi scomparso, così come ad un altro grande monastero, quello di S. Trinita in Alpe, furono legati già dal XI-XII secolo sia il Ponte a Buriano che quello detto ‘A Valle’ tra Laterina e Pergine Valdarno: in quest’ultimo caso è documentato anche un ospedale destinato ai pellegrini e gestito per un breve periodo dai monaci-cavalieri ospedalieri, che erano nati nientemeno che in Terrasanta per servizi del genere. Non è improbabile che queste strutture ospitassero anche piccole cappelle o celle di eremiti, come capitava molto più a valle, nel ponte Rubaconte (oggi Alle Grazie) di Firenze, dove fino all’età moderna vivevano religiose volontariamente ‘recluse’ nelle loro casette sul ponte.
Non furono però religiose ma politiche ed economiche le ragioni che stimolarono la costruzione di nuovi ponti nel tardo medioevo, al periodo del consolidamento del dominio fiorentino sulla vallata, al quale certo fu funzionale la costruzione del ponte di Rignano. Per lo stesso motivo dovette essere davvero disastroso l’effetto della famosa alluvione del 1333, che non solo distrusse quasi tutti i ponti di Firenze, ma devastò anche il Valdarno, come ricorda un passo del cronista Giovanni Villani:

[l’acqua] “sommerse molto del piano di Casentino, e poi tutto il piano d’Arezzo, del Valdarno di Sopra, per modo che tutto il coperse e scorse d’acqua, abbattendo e divellendo li alberi, ogni molino e gualchiere ch’erano in Arno, e ogni edificio e casa”

Non solo ponti, dunque: in effetti fino al Novecento l’Arno era punteggiato sia di strutture idrauliche che di punti in cui si svolgevano i servizi delle ‘navi’, cioè i guadi con chiatte da trasporto e barchette a pertica: ancora nel ‘500 ne esistevano più di una ventina da Arezzo a Firenze, spesso in corrispondenza di centri abitati come Figline, San Giovanni, Montevarchi, Laterina.
Anche per attrezzarsi contro eventuali nuovi eventi catastrofici, la politica del primo granduca di Toscana, Cosimo I, incluse la costruzione o ricostruzione di molti ponti secondo le rinnovate tecniche architettoniche del tempo: sia quello di Rignano, abbattuto dall’alluvione, che quello sulla Sieve a Pontassieve vennero progettati nientemeno che dal Buontalenti.
Arrivando poi all’Ottocento, si moltiplicano i casi di nuovi ponti sull’Arno adeguati alle esigenze economiche di un territorio in grande crescita: vale la pena ricordare il caso del ponte tra Montevarchi e Terranuova Bracciolini, realizzato a metà secolo per l’impegno di una “Società del Ponte” della quale il principale promotore fu Bettino Ricasoli.
Questa stratificazione storica ha fatto sì che l’Arno sia facilmente attraversato tutti i giorni da migliaia di valdarnesi e di viaggiatori. Allo stesso tempo però il perfezionamento delle comunicazioni viarie ha finito per ‘nascondere’ l’Arno all’esperienza quotidiana dei valdarnesi, che ovviamente non frequentano più mulini, steccaie o ‘navi’, e quindi non considerano più il fiume come una parte integrante della quotidianità, con il conseguente rischio del degrado o disattenzione nella gestione. Una riscoperta anche ‘storica’ degli attraversamenti del fiume potrebbe quindi contribuire al far crescere sensibilità, consapevolezza e attenzione per quella che nei secoli è stata – ed è ancora oggi – a seconda delle scelte umane, un grande risorsa o un grande pericolo.

Lorenzo Tanzini

Lorenzo Tanzini

Presidente dell'Accademia Valdarnese del Poggio

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